La storia di Frely

Chi trova un amico...

Il primo giorno di lavoro è come il primo giorno in una nuova scuola. Si cerca di fare più conoscenze possibili per avere informazioni utili sui professori. Incontrai subito alcuni compagni di scuola, Peretti e Mosso. Anche loro abitavano in stanze d’affitto ad Alpignano. Erano stati assunti poco prima di me. Grazie a loro la gelida atmosfera dell’azienda di fabbrica si fece più tiepida. Dopo il lavoro pranzavamo insieme e ci facevamo buona compagnia.

Poco per volta riuscii a farmi amico anche il giovane che era stato assunto il mio stesso giorno. Aveva qualche anno più di me (classe 1921) ed io ero rimasto molto colpito quando lo incontrai per la prima volta nella sala d’attesa del direttore. Allora non c’eravamo scambiati molte parole, mi pare di ricordare che non ci fossimo neanche presentati, ma non potei fare a meno di notare che si era portato dietro come libro di lettura il “Castelfranchi”, il libro di fisica a livello universitario che io avevo avuto modo di consultare durante i miei studi.
Questo lo aveva reso subito molto interessante ai miei occhi e sentii che sarebbe stato molto piacevole farselo amico. I nostri contatti furono facilitati dal fatto che gli era stato affidato il reparto della vetreria che forniva la materia prima per le linee di produzione “Piccole Lampade” di cui ero responsabile.

Con il suo nome, Frely Sacchi (in realtà era stato battezzato come Agostino), venni a sapere che era un ex-ufficiale di artiglieria in carriera e che veniva dall’accademia militare di Torino. Aveva lasciato l’esercito per non giurare alla Repubblica. Questa almeno era la motivazione ufficiale, in realtà è che non trovava più divertente far parte di un esercito sconfitto. Suo padre era un generale in congedo che per necessità aveva dovuto aderire alla Repubblica di Salò. In precedenza aveva partecipato alla campagna di Etiopia e a quella di Albania. Per malattia contratta sui campi di battaglia venne confinato ad insegnare matematica ai giovani ufficiali dalla Scuola di Artiglieria di Torino.


Ora la sua famiglia era dispersa, il papà a Milano cercava di sopravvivere vendendo polizze assicurative e la mamma era a Torino ospite di una zia.  I due fratelli più giovani (1924 e 1925), essendosi arruolati nella Monte Rosa, erano passati per Coltano dove all’epoca venivano radunati tutti quelli che avevano aderito alla Repubblica di Salò e che erano sfuggiti alle fucilazioni indiscriminate dei giorni dell’insurrezione. Qui venivano esaminati e se ritenuti colpevoli di qualche delitto di guerra, trattenuti per essere processati. Frely aveva trovato ospitalità nella villa di un suo commilitone di nobili origini che si trovava nei pressi di Rivoli, a pochi chilometri da Alpignano. Questo lo costringeva ogni giorno a prendere un pullman per recarsi al lavoro, per cui dopo che eravamo diventati amici gli proposi di venire ad abitare con me dalla mia affittacamere. Questa era una signora sulla quarantina nera di capelli e di carnagione. Era originaria delle Langhe ed era stata spinta dai parenti a diventare la concubina di un ricco armatore savonese. Costui l’aveva scelta non certo per amore, ma per i suoi fianchi di contadina perché contava di fare con lei quel figlio maschio che non era riuscito a fare con la moglie. La fortuna le fu benigna perché dopo poco riuscì a partorire proprio il figlio desiderato dall’amante. Per un po’ le cose andarono bene. Il padrone non le lasciava mancare niente e spesso le faceva visita portando con sé anche degli amici. Lei cucinava per tutti ricchi piatti delle tradizione piemontese, contenta della protezione che le veniva accordata, senza desideri di libertà personali. Viveva come in un convento, senza contatti con l’esterno. Purtroppo la fortuna le voltò le spalle quando il ragazzo ormai cresciuto fu colto da febbre reumatiche là nel collegio dove era stato mandato a studiare. Il cuore non resse alla malattia che lo portò alla tomba (voglio ricordare che durante la guerra scarseggiavano i medicinali e la penicillina era ancora sconosciuta). Venuto a cessare il vero motivo del concubinaggio il “signore” diradò le sue visite fino a cessarle del tutto. Non fu tuttavia un ingrato verso colei che per lui aveva sacrificato la propria gioventù, così le lasciò un modesto vitalizio e la casa dove lei viveva. Si trattava di una villetta su due piani e un seminterrato che si affacciava sulla riva sinistra della Dora Riparia, il fiume che divide in due il paese di Alpignano. Lei viveva nelle due stanze al pianterreno e all’occasione affittava le due stanze al primo piano. Nella mia stanza, piuttosto ampia, c’erano due letti, per cui non mi fu difficile convincerla a prendere il mio amico come coinquilino.

Così Frely divenne mio compagno di stanza, cosa che rafforzò la nostra amicizia. Essendo un ragazzo molto estroverso e gran affabulatore, in poco tempo venni a sapere tutto della sua vita. Era nato a Cremona quando suo padre era di stanza in quella città, ma poi fu a Livorno ed infine a Torino dove frequentò il prestigioso liceo Cavour. Vivendo con lui, potei apprezzare tutte le sue qualità. Dotato di intelligenza superiore alla media, sapeva unire questa dote ad una modestia non affettata, così da non essere mai di imbarazzo al suo interlocutore. Il suo disinteresse per le cose materiali e la sua generosità, lo rendevano simpatico a tutti, specialmente alla padrona di casa che, da furba contadina qual era, sapeva trarre da lui quei vantaggi che la mia tirchieria le negava. Sdrammatizzava tutte le situazioni più incresciose con un insieme di verità e cinismo che mascherava la sua grande sensibilità. Voleva apparire distaccato da ogni sentimentalismo, ma io credo lo facesse per pura difesa. Parlava dei suoi parenti come fossero degli estranei, parlava della sua delusione d’amore come se lo avesse appena sfiorato, mentre in realtà lo aveva amareggiato profondamente. In quegli anni era diventata molto popolare una canzone “Solo me ne vò per la città” dove si narrava la triste storia di chi ricerca il “perduto amore”. Non era raro, infatti, il caso di chi, ritornato a casa dopo anni di guerra. si è trovato abbandonato dalla fidanzata.
A lui era successo proprio questo, il suo grande amore, che risaliva agli anni del liceo e il cui pensiero l’aveva accompagnato come un’ossessione durante la campagna d’Africa, la prigionia, la fuga dal campo di concentramento, nel frattempo si era sposato con un nobile toscano.
Era una storia romantica e sentimentale che mi incuriosì parecchio per ile sue interferenze con i fatti dell’epoca. Dalla ritirata da El Alamein alla liberazione d’Italia al servizio degli alleati. 

La guerra del tenente Sacchi

In una delle mie frequenti visite a Frely mi venne da suggerirgli di ingannare le lunghe ore di inattività a cui era obbligato, a causa di una malattia, scrivendo le proprie memorie. Non ho mai saputo mai esattamente tutto quello che avrebbe voluto scrivere, ma ho raccolto con devozione tutto quello che volle consegnarmi. Intanto mi feci raccontare quello che non volle mettere per iscritto.

Quello che segue è il risultato di ore di chiacchierate: un racconto a due voci della sua vita attraverso 60 anni di storia e di amicizia.


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