Partigiano

1944. Il nostro soggiorno durò poco, una notte fummo svegliati di soprassalto, si erano notati dei movimenti sospetti e bisognava formare una pattuglia per andare in perlustrazione. Fuori era buio pesto, arrivammo di corsa al posto di blocco ma lì non c’era nessuno. Scendemmo allora lungo il Gesso e ci spingemmo verso Roccavione. Non notammo nulla di sospetto, così dopo un po’ tornammo a dormire. Il giorno dopo fummo trasferiti ai Ciott (Giotti) un tetto sulla destra di Roaschia a un tiro di schioppo dal paese. Il perché di quel trasferimento non ce lo disse nessuno, forse avevano pensato che eravamo troppo pivelli per lasciarci in un posto così delicato. A noi fecero un gran favore, perché ai Ciott ci trovammo come in villeggiatura.
Comandava il distaccamento un certo Ponzio di Cuneo. Uno che aveva già fatto il militare e che si intendeva un po’ di mitragliatrici pesanti. Qui, data la stagione, le case erano quasi tutte abitate dalle famiglie dei pecorai che sarebbero poi scesi in pianura durante i mesi invernali. Notai subito che gli anziani della banda erano piuttosto conosciuti dai locali, uno di loro dormiva addirittura a casa di una pastorella con cui probabilmente divideva anche il letto. Questo, più il fatto che sia Attilio sia Ricu avevano “fidanzate” di Roccavione mi fecero pensare che non era la prima volta che la banda soggiornava in questi luoghi.
La nostra vita scorreva intanto dolcemente, senza pericoli e facendo ben poco. La tranquillità dei nostri giorni era interrotta solo da piccoli eventi, quali un pattugliamento sino alla Cappella della Madonna delle Piagge posta sul versante di Vernante oppure la preparazione di falò per segnalare la zona di lancio ad eventuali aerei che i messaggi segreti ci avrebbero preannunciati ma che non ricevemmo mai.

Certi giorni qualcuno era di corvée e perciò doveva scendere in paese dove c’era il magazzino viveri per fare rifornimento. Non mi ricordo cosa mangiavamo, ma so che non ho mai patito la fame e che il pane era bianco fatto dai nostri panettieri con la farina che veniva prelevata con audaci colpi notturni dagli ammassi dello stato.
Una volta venne anche a trovarmi la sorellina allora sedicenne in bicicletta, con mio fratello Ugo e la sua amica Franca Ramero, il cui fratello Battistino aveva l’incarico di magazziniere viveri per l’intera banda. Nell’occasione offriva loro una deliziosa merenda a base di pane bianco e salame, cosa che per i tempi era più di un banchetto.
Un giorno che ero sceso a Roaschia per fare il mio lavoro vidi Attilio Fontana ferito a una coscia. La pallottola era entrata e uscita senza toccare l’osso. Lui rideva mentre raccontava l’accaduto. Stava viaggiando su una moto con sidecar nella strada del Ciadel. Alla guida era Berto Baudino, lui era nella carrozzella. A un tratto si imbatterono in un camion di tedeschi, Berto di corsa fece dietrofront mentre Attilio lasciava partire una raffica dal suo mitra. I tedeschi risposero al fuoco e una pallottola colpì Attilio. Per un po’ non poté muoversi ma non aveva di che lamentarsi visto che la Nuccia lo serviva di tutto.
Intanto nel distaccamento del Ciott le giornate trascorrevano serene, a volte il suono di una fisarmonica raccoglieva un po’ di gente in uno spiazzo di terra battuta che fosse possibilmente in piano e si cominciava a ballare. Scendevano in pista prima i montanari, che erano specialisti nel far volteggiare le dame nelle Curante o nei Balett, danze classiche delle nostre montagne. Poi anche noi goffamente cercavamo di imitarli, invitando qualche pastorella del luogo, sperando così di poter allacciare qualche amicizia.
Un giorno, io e Franco Artusio, fummo caricati in macchina e portati fino al quartier generale di Aldo Quaranta, in quel di Valdieri. Pare che dovesse arrivare un pezzo grosso della Resistenza, o un inglese, non ho mai saputo bene chi fosse. Noi eravamo stati scelti come rappresentanza siccome eravamo i più alti del reparto.