Si va in montagna

1945. Era già scattato il coprifuoco quando arrivò Berto Baudino con un grosso camion carico di grossi sacchi di farina. Una ventina di noi prese posto in qualche modo negli spazi disponibili, fucile in mano pronti a sparare, l'automezzo percorse con gran rumore le strade deserte di Boves scendendo per val Caragna e Mungeia fino alla stazione ferroviaria, quindi si diresse verso Borgo San Dalmazzo.
La fifa era notevole, se si considera che il rumore del camion si riverberava nei muri delle case in un frastuono indescrivibile nel silenzio di un paese che sembrava disabitato, mentre in noi era chiara la consapevolezza che bene o male la zona aveva un presidio tedesco che poteva sempre farci una sorpresa, inoltre era la prima volta che mi trovavo fuori casa dopo il coprifuoco e per di più armato.
Nelle vicinanze di Ponte di Ferro ci consigliarono di togliere la sicura alle armi in quanto potevamo incontrare una pattuglia di fascisti del famigerato Salvi. Fu col cuore in gola che ci infilammo nella via del Ciadel; ancora pochi chilometri e poi fummo fuori di Roccavione. La tensione svanì e quando ci sentimmo al sicuro tra le montagne ci mettemmo tutti insieme a cantare “Siamo i ribelli della montagna, siamo gli arditi di Valle Gesso”.
A Roaschia per prima cosa ci fecero scaricare il camion e fu con un certo orgoglio che mi resi conto che potevo portare sulle spalle un sacco da un quintale senza che mi si piegassero le ginocchia. La nostra destinazione definitiva era la frazione Vignola, a pochi passi da Roccavione dove avremmo avuto il compito di presidiare un posto di blocco situato sulla strada Roccavione Roaschia nel punto in cui una costa della collina arrivava fin quasi sulla strada che sull'altro lato aveva il torrente Gesso. Destinati a questo compito fummo solo io Carlo Satta e Franco Artusio mentre Berto e Mario rimasero al comando di Roaschia.

Nella nuova destinazione dovevamo fare turni pesanti di otto ore al posto di blocco con otto ore di riposo in Brignola. Una tenda ci permetteva a turno di schiacciare un pisolino ogni tanto. Sopra di noi, su una collinetta, era piazzata una mitragliatrice pesante. In caso di attacco noi dovevamo ritirarci immediatamente mentre i mitraglieri avevano il compito di ritardare l'avanzata degli attaccanti. La strada inoltre era minata per impedire il passaggio di mezzi pesanti.
Nelle ore di riposo dormivamo in un pagliaio di Brignola, e la prima notte rimasi colpito dal fatto che un giovane sconosciuto dall'aria cittadina che dormiva con noi si era coricato nella paglia indossando un elegante pigiama da notte. Il comandante di questo distaccamento era un certo Vito un tarantino piccolo ma molto intraprendente (specie con le donne) simpatico e per niente presuntuoso. Per alcuni giorni tutto filò liscio, all'alba scendevamo per la strada e controllavamo tutta la gente che veniva o andava da Roccavione, a volte requisivamo qualche panetto di burro a chi tentava di fare la borsa nera. Un giorno mentre eravamo di servizio passò rombando sopra di noi una nutrita formazione di bombardieri americani. Ci stavamo chiedendo dove andassero a bombardare, così di giorno, quando ci giunse alle orecchie facendoci sobbalzare una serie di boati provenienti dalla direzione di Cuneo. Erano le bombe che avevano sganciato qualche istante prima sul viadotto dello Stura. Ci dissero poi che alcune bombe avevano fatto dei buchi nella soletta del ponte ma il manufatto era stato pochissimo danneggiato. Questo mi portò alla mente i bombardamenti di Torino che avevo subito da studente un paio di anni prima.